il Carusello #1
Internet è stato la cosa più bella della mia vita, finché non lo è stato più
Non c’è nessuna differenza tra i ricordi che ho di Internet e quelli della casa di mia nonna. Anche perché, casa di mia nonna era in parti uguali un parco giochi e una trappola infanticida pronta a scattare, proprio come Internet.
Prima immaginate una cascina, poi togliete le cose che rendono bucolica e cozy la vostra idea di una cascina. La roba che su Pinterest trovate come cottage core, per intenderci, buttatela via. Era un parallelepipedo in cemento affacciato su un cortile ghiaioso, separato con una retaccia dal campo di grano e con un cancellaccio dallo stradone principale, con accesso quasi libero a venditori di enciclopedie e mal viventi 24/7. I miei genitori erano operai diciottenni, quando sono nata (per la cronaca, ora sono operai cinquantaseienni), e quindi io passavo molto tempo coi nonni, che mi lasciavano libertà quasi assoluta. Disegnavo sui muri, sia interni che esterni, per dire. Le poche limitazioni erano legate all’immediata incolumità fisica, per esempio non potevo usare il bagno perché, be’, non era proprio un bagno, ma un buco sopra una fossa biologica, quindi potevo letteralmente cadere nel cesso (quando vi sembro strana o intrattabile, per favore, ricordatelo).
Internet è entrato in casa mia nel 1998 circa; qualche anno dopo i veri pionieri di Usenet e FidoNet 1, ma qualche anno prima che la gente smettesse di chiedere “what’s the Internet anyway?”. A essere rilevante qui però non è la data, quanto il fatto che io avessi solo dodici anni. Questo mi ha posta su un punto diverso della timeline rispetto alla maggior parte dei miei coetanei. Se il Millennial italiano medio ricorda il tempo dei miti e delle leggende, in cui i forum spadroneggiavano su una terra in tumulto, io in quel periodo stavo già a rompere il cazzo perché Internet non era più quello di una volta. Ero il bebè col sigaro di Roger Rabbit.
A dodici anni, dicevo, la Rete per me fu… be’, una rete, effettivamente, che dei weirdo adulti avevano posto sotto il burrone per impedire che noi, i weirdo giovani, ci spiaccicassimo come Will E. Coyote.
Non ero una ragazzina timida, anzi. Andavo d’accordo con tutti e non venivo emarginata, nonostante fossi incapace (e disinteressata?) a nascondere i miei interessi assorbenti altamente impopolari. Eppure, mi sentivo profondamente sola. E lo ero. Avrei dato qualsiasi cosa per avere persone con cui parlare e ragionare e condividere la mia weirdness. Sembrava impossibile, finché internet non s’è accostato con la macchina e m’ha detto:
Con vari gradi di disagio (che vanno da molto disagio a quasi nessun disagio), in quegli anni eravamo un po’ tutti legati dal desiderio di trovarci tra di noi, che fossimo fissati coi fumetti giapponesi o col birdwatching. Nessuno ci aveva insegnato come fare, lo facevamo e basta. Forse è perché il principio è istintivo: siamo vivi per condividere cose. (Che bella parola che era “condividere”, prima.)
Non sto dicendo che Internet fosse la Valle dell’Eden, chiariamoci, o che venisse utilizzato unicamente per scambiare conoscenza. A meno che non foste pedofili o truffatori, allora sì. La situazione era di allineamento caotico neutrale. Un attimo guardavi immagini di Ranma e quello dopo oh! che sta facendo quella signorina col pitone? Toc toc! 156854762 vuole entrare in contatto con te, ok? Ok! “Ciao, 156854762, da dove digiti?” “VOGLIO LEGARTI A UN ALBERO E LECCARTI LA FIGA” (storia vera) (che poi, apprezzo il pensiero e forse stai facendo una citazione di Justine, ma è proprio l’outdoor che è il mio limite).
Eravamo soli e nudi in una giungla anarchica, e se qualcosa fosse andato in vacca, fuori nessuno avrebbe potuto aiutarti, perché nessuno-sapeva-che-diavolo-stessi-facendo.
Ma che devo dirvi? La libertà di disegnare sui muri valeva ben il rischio di cadere nel cesso.
Cosa voglio fare qui?
Voglio intraprendere un percorso per liberarmi dalla dipendenza - mentale, ma anche fattiva - da Meta. E più, in generale, dall’Internet corporate. Ma si tratta appunto di un percorso, perché la situazione è molto più complessa di “dobbiamo abbandonare Meta in massa!”, che è infattibile nell’immediato credo, a oggi, controproducente.
I miei obbiettivi sono:
Stringere sempre di più il rubinetto dei soldi che do a Zucky & Co., per quanto sia chiaro che ormai questo non è più quello il problema numero 1;
Liberarmi dalla sudditanza mentale indotta dai social e riappropriarmi così del mio tempo e della mia capacità di concentrazione, che sto svendendo come fosse carta straccia;
Fare in modo che il mio telefono lavori per me, non il contrario;
Ritrovare Internet come spazio libero. Questo è il più difficile, perché richiede uno sforzo collettivo, ma anche il più esaltante.
Con l’ascesa di Trump sostenuto da una vera e propria oligarchia tech, non me la sento più di accannare. Sono anche convinta che la scelta di restare sulle piattaforme smetterà ben presto di essere una scelta, perché potremo fare e dire sempre meno, senza essere oscurati o perseguiti. Per quanto ancora potremo condividere liste di medici non obiettori? Organizzare manifestazioni di dissenso sulle stories? Ci siamo già ridotti a c*ens*rar* le parole perché l’algoritmo non ci penalizzi. Ci riferiamo a uno stato in guerra come a una fottuta anguria, cazzo.
A un certo punto o ce ne dovremo andare, o ce ne dovremo andare. Non possiamo arrivare a quel momento impreparati e senza alternative.
E poi, vorrei non metterci più venti minuti in bagno al mattino perché guardo le stories sul water (sì, state tranquilli: quello attuale è sicuro).
Il Carusello sarà una creatura ibrida, come me e i miei libri.
Ci saranno:
Racconti e ricordi, perché internet per me è un fatto sentimentale;
Aggiornamenti su come procede la mia impresa;
Condivisione pratica dei metodi, spazi e strumenti che proverò.
Non ci saranno:
Analisi politiche, perché non è il mio;
Raccolte di notizie, perché non è il mio;
Opinioni sistematiche sui temi caldi, perché non è il mio.
Magnificazioni della volta che ho lasciato lo smartphone nel cassetto e sono uscita a respirare l’aria pura di Milano, per poi riprendere lo smartphone dal cassetto un’ora dopo, ma ah, come mi sento ricaricata!
Il Carusello2 uscirà ogni tre settimane. Conoscendomi, non è impossibile che ogni tanto diventino tre mesi. Se non volete essere tartassati di mail, magnate tranquilli.
Come va?
Cosa faccio, cosa provo, cosa scopro.
Hard block
La prima mossa, indispensabile. Ho bloccato le app social dalle 10 alle 12 di mattina, le ore in cui devo essere più concentrata. Il sistema di blocco nativo di Android è una barzelletta, perché può essere sbloccato a piacere e duh, se avessi forza di volontà non starei mettendo un blocco in the first place, ti pare? Esistono app fatte apposta, io mi sto trovando bene con AppBlock, che mi fa scegliere quanto lo voglio spietato. Ci sono tre livelli: uno soft (sblocco a piacere), uno medio (è più difficile sbloccare), uno hardcore (devi buttare il telefono). Non so cosa offra in più la versione a pagamento, forse la possibilità di settare più programmi personalizzati, ma non lo scoprirò mai perché pago già in dati. Sì, queste app ciucciano dati che è un piacere. Al momento però ne ho bisogno, e comunque è un po’ come pulirsi gli stivali sui tappeti del Titanic, quindi…
So long, Facebook
Dopo tentennamenti durati anni, ho deciso di chiudere Facebook. Nonostante ormai lo usassi pochissimo, è stata comunque una scelta sofferta. Al momento il mio account è ancora attivo, perché voglio fare almeno un altro post, prima di cancellarlo. Sicuramente ne riparlerò in un’altra newsletter, ma se intanto qualcuno vuole precedermi, ricordate che l’account va eliminato, non disattivato.
Una X su X
Non so perché lo avessi ancora, visto che l’idea di scriverci mi fa ribrezzo. Ci vuole un attimo a disattivarlo, ma poi bisogna aspettare trenta giorni per la cancellazione effettiva, nel caso in cui ci ripensi, tipo i giorni di riflessione per l’aborto.
Ricerca di spazi alternativi
Ho aperto un profilo Bluesky e Substack. Per chi non lo conoscesse, Bluesky è Twitter in tutto e per tutto (anche il fondatore è lo stesso). Sono alternative facili, ma anch’esse intermedie, perché di fatto sto saltando da un’azienda all’altra.
Substack non molto tempo fa è stato al centro di una controversia non da poco, ma per il momento me lo faccio andare bene perché ha un buon rapporto diffusione/facilità d’uso.
Sul tema dei compromessi tra comodità ed etica che facciamo stando sulle piattaforme, sto leggendo cose interessanti. Parliamone la prossima volta.
Mastodon e Fediverso, vi espugnerò. Ma non oggi, perché quella parte del mio cervello si è atrofizzata. Fediverso e affini rappresentano senza ombra di dubbio l’attuale alternativa “partigiana”, ed è lì chi finiremo a rifugiarci e organizzarci. Si tratta però di un sistema che chiede di rispolverare la conoscenza di come funziona Internet e anche per me, che ho fatto tempo a intravederlo, lo scontro con Mastodon è stato overwhelming. Cercherò di comprenderlo pian piano e ve ne parlerò.
Siamo nani sulle spalle dei giganti che suonano Game Boy
Kenobit (se non lo conoscete, seguitelo: suona davvero i Game Boy) fa da tempo un lavoro eccezionale di sensibilizzazione e consapevolezza su questi temi, ed è attivamente impegnato nella costruzione e diffusione di spazi online liberi, decentralizzati e autogestiti. Questo mondo è uno step troppo in là per me (conto di arrivarci per la fine dell’anno), ma vi consiglio lo stesso la lettura di “Liberare me stesso”. Sono ottanta pagine umane, con i piedi per terra, che ispirano senza settare aspettative irrealistiche.
Vi saluto così. If you know, you know.
Il primo collegamento internet in Italia è avvenuto dal Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico dell’università di Pisa, il 29 aprile 1986 (l’anno della mia nascita, le foglie del destino di Fedez direbbero che non è un caso), mentre la prima pagina web italiana fu visualizzata, sempre a Pisa, nel 1993.
Ringrazio Giulio Passerini, che mi ha suggerito questo nome a caso, per nessun progetto particolare, qualcosa come sei anni fa.
Ho chiuso il mio secondo account Instagram oggi, lo tenevo per i libri ma non mi diverto più. Ho bluesky per sicurezza, e la storia dei nazisti su substack non mi ha sorpresa per niente, viste certe cosette che girano persino davanti a me, che chiedo solo gatti e storie come questa, non certo truffe romantiche e santoni no-vax. Che sia un bias dell'algoritmo perché sono gen. X?
Che bello leggerti proprio mentre sto intraprendendo un’avventura simile. Non uguale, ma simile. Con una grossa differenza: vorrei fare anche io la scrittrice vera, e mi dicono che per la saggistica le CE ormai passano prima dai social. E se uno non sta sui social perché sta, che so, scrivendo, quella cosa che dovrebbe fare chi interessa a una CE? Mi sento di soccombere sotto il peso di questa logica, perché la velocità dei social non mi corrisponde, mi toglie tantissimo. Sono alla ricerca del giusto mezzo.
Ultima cosa: qui in USA dove vivo è uscito sul mercato un dispositivo fisico che si chiama Brick, il cui meccanismo di blocco delle app è vincente e l’unico che finora ha funzionato per me: https://getbrick.app. Chissà, magari spediscono anche in Italia!